Nomade

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Sì, sono io la nomade, ovvero lo sono stata.

A tre anni, prima, poi a sette, a nove, a sedici, sempre luoghi diversi che non sentivo miei, e non per mia volontà, ché, a quell’età, non te lo chiede nessuno se sei contenta o non del cambiamento.

E poi a diciannove, invece, fu mia la scelta, mia la volontà di cambiar luogo quattro volte l’anno, più per necessità, certo, che per desiderio vero, perché con le radici al vento ti senti sempre sbalestrato.
Non fu un gran danno, anzi, quel muoversi continuo, quel doversi adattare, quei cambiamenti aprirono la mente, appresi cose nuove, usi e linguaggi e paesi e nuove idee, sapori e odori, colori da provare e ricordare.

Restava sempre, però, quella precarietà, quel non sentirsi mai a casa propria, quelle radici al vento instabili, alla ricerca di un luogo ove posare i piedi e radicarsi, ove potersi abbarbicare e fare proprio, per dare forma e vita ai ricordi confusi e affastellati.

E fu così: questo è il luogo che da tempo è diventato mio, se non per nascita, per scelta.
Un luogo che ricorda quello in cui son nata, dove le mie radici ancor piccine son state non recise, ma tolte dalla terra dei miei avi.
Non so se è il luogo in cui io poserò le ossa, in questa terra che un po’ m’è ancor straniera anche se amata e rispettata, questa terra che ha visto un tratto di mia vita, qui dove ho posato i piedi e le radici son penetrate nella terra, a fondo, salde e feconde.
Forse la vita mi riserva ancora cambiamenti, nuovi orizzonti, luoghi non scelti per volere, ma per necessità.

Una cosa, però, io l’ho compresa che, bene o male, molti di noi, per obbligo, per voglia o per necessità, siam spesso nomadi, alla ricerca di luoghi ove trovare la nostra identità.

14 pensieri su “Nomade

  1. La tua esperienza sebbene a prima vista personale, riferibile a te, ritengo sia estensibile, universale. E alludo sopratutto a quanto tu, raccontando, ne trai, sensazioni e riflessioni.
    Nel tuo post, ci sono milioni se non miliardi di persone dal Messico alla Cina, passando per l’Africa – che chi più chi meno, ha da condividere,

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    • Hai ragione. Ho iniziato a scrivere sull’onda dei ricordi risvegliati da alcuni documenti che ho preso in mano in questi giorni. Poi mi sono accorta, mentre scrivevo, di quanto sia attuale questa sensazione, oggi, come tanto tempo fa, quando migrare ci portava in giro e ora quanti vengono qui a cercar pace, benessere o anche qualcos’altro, che non è sempre bene, ma che fa parte della storia, che sempre fu così, da Cro-Magnon in poi. C’è chi s’abitua, chi ci guadagna, chi perde e chi impara, chi s’adatta, chi muore, chi vorrebbe tornarsene da dove era venuto e chi per sempre resta in cerca di futuro, chi rimpiange il passato…la chiamano vita, finché s’è vivi.

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  2. Pingback: Oggi ho scelto: Nomade — Un Dente di Leone – Evaporata

  3. Per me è più bello così, viaggiare e spostarsi, che rimanere sempre nello stesso posto. Io sono stato fortunato, nato a Taranto, ho vissuto a Napoli, Roma, Merano, Bologna, Forlì, Milano (e cito solo i posti nei quali sono stato per più di tre anni) e ogni volta è stato meglio della precedente.

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    • Sì, lo spostarsi è decisamente bello se chi lo fa lo ha scelto di sua volontà e non è stato obbligato, costretto, o non ha dovuto fuggire.
      Nella prima infanzia, quando si ha bisogno di punti fissi di riferimento, immutabili, certi, che danno sicurezza e serenità, che permettono di crescere sentendosi amato, protetto, in quel piccolo mondo che ogni bambino dovrebbe conoscere bene per sentirsi al sicuro, allora, i troppi cambiamenti, il doversi ogni volta adattare a nuovi ambienti, a situazioni sempre diverse, creano insicurezza, ansia, paura, e, se non limitano l’apprendimento, creano però confusione, incertezze, sbalestramenti e non sempre si ha la possibilità di uscirne avvantaggiati. Rimangono comunque lacune, buchi da riempire, rimpianti, ci si sente sradicati, a volte mancano gli affetti, quei primi affetti che danno all’infanzia quella felicità di cui dovrebbe aver diritto.

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      • Sono ancora in contatto con alcune compagne di scuola con le quali ho condiviso gli anni in orfanotrofio e anche con alcune persone che mi hanno conosciuta prima dell’età scolastica. Ma è stato il distacco dagli affetti familiari, il non essere cresciuta con i cugini, gli zii, aver visto i nonni solo qualche giorno l’anno, l’essere stata in ambienti diversi dalla “casa” in cui ero nata, che ha creato la sensazione, per anni, d’essere alla ricerca di un punto fisso. Credo che i bambini che anche oggi vengono strappati dalla loro terra e sono costretti a vivere migrando di luogo in luogo, a cambiamenti che fanno loro notare l’insicurezza della propria condizione, anche se circondati dalle braccia dei genitori, sentiranno per sempre la mancanza di una infanzia veramente serena. Ed è inutile che mi si dica che le difficoltà rendono più forti, lo so bene: certo, io sono diventata forte, come no. Ma con ancora dei buchi dentro che ho coperto, certo, con un guscio ben duro: impedisce agli altri di guardarmi dentro e a me di uscire fuori.

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