
mie foto
Ci sono giorni nei quali non basta un raggio di sole per squarciare la tristezza che offusca la mente affollata dai ricordi e il tempo sembra immobile.
mie foto 1994 – dopo l’operazione
Era nata nel febbraio del 1889, in uno di quei paesini di montagna incuneati fra il lago di Garda e la Valcamonica. In quei luoghi un po’ isolati, dove ci si conosce tutti e le parentele sono intrecciate, pochi i casati e i cognomi sono spesso identici.
Il marito fu chiamato alla guerra, la prima guerra mondiale e partì dopo pochi mesi dal matrimonio, senza nemmeno essere a conoscenza che lei era rimasta incinta. Dalla guerra non tornò più e lei crebbe da sola quell’unico figlio che mise al mondo, facendo il lavoro di postina, scarpinando per quelle contrade su e giù per campi e pendii, a raggiungere anche le malghe isolate.
Quando la conobbi aveva già compiuto 99 anni.
Abitava in una vecchissima casa di montagna, ai margini del paese.
Due stanze, cucina e camera da letto, al primo piano, sopra la stalla, e ci si arrivava passando per una scala di legno e un ballatoio di assi dalle quali si intravedeva il sottostante cortile. Lo sgabuzzino che serviva da bagno era giù, a margine del cortile.
In cucina la piccola stufa a legna era sempre accesa, per cuocere a lungo i fagioli in un pentolino che sobbolliva all’angolo, l’acquaio in pietra, a lato di una finestra, mi ricordava quello della casa dei miei nonni. Su un mobile, in alto, tutta una serie di pentole di rame, lucenti come l’oro, non un granello di polvere in quella vecchia casa e lei, la prozia di mia suocera, vestita di nero, un collettino bianco ricamato illuminava il suo volto sorridente.
Una donna attiva, indipendente, arguta e bene informata su ciò che accadeva nel villaggio e anche nel mondo.
Curava da sola il proprio orto e lavava la biancheria di un parente più che sessantenne che non era sposato.
Era la “memoria” del villaggio, ne conosceva la storia e la tramandava ai giovani.
Quando compì 100 anni, riuscì a convincere il parroco a celebrare la messa nella sua casa, sul letto nuziale decorato da un grande copriletto di pizzo all’uncinetto che lei stessa aveva fatto con le proprie mani.
A 104 anni cadde nell’orto e si ruppe un femore e una spalla. Fu operata e si rimise in piedi.
Accettò di lasciare la propria abitazione e si trasferì nella casa del figlio, più comoda e moderna, circondata dall’affetto delle nipoti, ma ancora attiva, anche se camminava aiutandosi con un bastone.
Nel febbraio del 1999 compì 110 anni e fu intervistata da Rai3 mentre faceva la prima colazione, pane e pancetta, circondata da alcuni parenti e dal medico del paese che passava spesso a trovarla per fare una chiacchierata, perché lei, comunque, del medico pare non avesse bisogno. Ma non aveva più voglia di vivere, da quando le era morto, un paio d’anni prima, quell’unico figlio che aveva avuto.
Morì di notte, nel sonno, nell’aprile di quello stesso anno, in silenzio, senza disturbare nessuno.
L’amico Guisito: Professor Guido Esposito, propone un nuovo torneo di quiz a tutti coloro che desiderano tenere sveglie le meningi.
Trovate tutte le indicazioni al seguente link:
https://ilsitodiguisito.wordpress.com/
Buon divertimento.
mie foto
Si parlava di “romanticismo”. Non di quello del Berchet, di Hayez, o di Schumann, ma di quello terra-terra, quello dei sanvalentino, delle serate davanti al camino, per chi ce l’ha il camino e che ha anche il tempo da perderci davanti.
I miei genitori, nonni e bisnonni facevano parte del mondo contadino, non quello dei possidenti, ma quello degli operai contadini che si spaccavano la schiena dall’alba al tramonto e anche alla festa c’erano le bestie da rigovernare e non si sapeva davvero che cosa fosse una vacanza. I trisnonni no, quelli non erano contadini e il Romanticismo lo avevano vissuto davvero, a partire da quell’Agapito che aveva fatto parte dell’epopea garibaldina. Ma poi ci fu il fascismo e la quota 90 con tutte le sue conseguenze.
Da quell’Agapito, alcuni di noi discendenti hanno ereditato l’amore per l’arte e per la lettura, la capacità di comprendere musica e poesia, il desiderio di essere circondati dal bello e, non avendo mezzi sufficienti per tutto questo, alcuni di noi si sono arrangiati a costruirselo con le proprie mani: il prozio Arturo strimpellava il pianoforte verticale di quindicesima mano che era riuscito a procurarsi non si sa ancora come e disegnava paesaggi con pennino e inchiostro di china; la nonna Bianca, quando aveva un po’ di tempo, poco in realtà, amava ascoltare le commedie alla radio mentre ricamava; mia madre iniziò a dipingere fin da ragazzina per abbellire le gonne, di poveri tessuti, sue e delle sue sorelle, anche lei amava la musica e la lettura. Anch’io amo i libri e mi cimento in piccole cose che hanno parvenza d’arte.
Si parlava, appunto, di romantici caminetti.
Nella casa dei nonni il camino c’era, ma serviva per cucinare e per scaldare, sporcava parecchio e la bisnonna, impegnata a girare la polenta nel paiolo attaccato alla catena, non aveva nulla di romantico.
Nella casa dei miei genitori il camino c’era, ma era nello scantinato. Veniva acceso solo quando si voleva fare una grigliata di carne o per cuocere le grandi quantità di “grignos” (cicoria di campo) raccolti in primavera e poi bolliti nel grande pentolone attaccato alla catena. Quando Bepi era occupato in questa faccenda, scarmigliato, sudato, con la canottiera e le braccia sporche di fuliggine, non ispirava certo pensieri romantici.
Nel progetto della nostra casa era previsto un caminetto, ma mio marito ed io abbiamo preferito una stufa economica a legna in cucina, più pratica di un caminetto, a nostro avviso, perché anche mio marito era un operaio agricolo e aveva le mie stesse radici.
Ecco, quando ho trovato il pettirosso morto ai piedi del fico che sta proprio davanti all’uscio di casa, il primo pensiero è stato: “Accidenti, l’aviaria è arrivata fin qui”. Non è certo un pensiero romantico questo, ma io sono retaggio di quel mondo contadino, fatto di cose pratiche, essenziali.
Già dal 2021, la più grande epidemia di aviaria degli ultimi tempi, ha colpito uccelli selvatici e negli allevamenti, dal Portogallo alla Russia.
Magari il pettirosso è morto di vecchiaia, visto che non ha alcuna ferita, ma è più probabile che sia deceduto per aviaria. Questa estate erano quasi scomparsi i merli, forse per la siccità, ma un paio di settimane fa ho trovato anche un paio di storni sotto al bagolaro, come se avessero cercato rifugio tra il tronco e le grosse radici e anche una tortora ai piedi dell’ulivo.
In questo periodo dovrebbero esserci molti pettirossi qui e anche le cince, ma non se ne vedono.
Se fossi romantica potrei intonare un’ode al pettirosso morto, invece penso a mio nipote che alleva polli e le sue bestie sono a rischio e potrebbe essere a rischio anche lui e la sua famiglia, visto che l’aviaria è passata dagli uccelli all’essere umano già parecchie volte in passato con le epidemie di spagnola e di asiatica.
L’amico GUISITO (Professor Guido Esposito) del blog: https://ilsitodiguisito.wordpress.com/
ha indetto un torneo di giochi a quiz proposto a tutti coloro che desiderano rimettere in moto gli ingranaggi delle celluline cerebrali e passare un po’ di tempo a divertirsi imparando.
Al primo classificato verrà inviato un premio a sorpresa.
Il primo quiz è il seguente:
Di quali argomenti parlerebbero?
Se Cupido e Robin Hood si incontrassero parlerebbero di archi e frecce.
Due punti per ogni risposta esatta. Un punto in meno per ogni aiutino.
Di quale argomento parlerebbero se si incontrassero
1) Adelaide Antici e un domatore di bestie feroci.
2) Sigmund Freud e Domenico Modugno.
3) Degli eredi e un biblista.
4) Una sposa e un sommelier.
5) Riccardo Muti e il mago Silvan.
6) Archimede Pitagorico e Thomas Alva Edison.
7) Giulio Cesare e un allevatore di polli.
8) Paride e Biancaneve.
9) Bebe Vio e san Francesco.
10) Il barbiere di Siviglia e Guglielmo di Occam.
Chi desidera partecipare al torneo, invii le risposte al seguente indirizzo di posta elettronica:
guisito@libero.it l’indirizzo di posta elettronica è valido, nonostante WP non permetta il collegamento.
Importante, non scrivete le risposte nei commenti del blog. Grazie
mie foto – bacche di rosa canina
Qualche anno fa, mia figlia mi regalò uno smartphon e mi insegnò ad usarlo.
Fra le applicazioni che lei mi inserì ci furono anche Whatsapp e Instagram.
La prima per tenermi in contatto con lei senza ossessionarla con le telefonate di una madre ansiosa che si preoccupa per la figlia lontana e la seconda che mi permette di partecipare un poco al suo mondo, tramite le foto e i filmati che posta giornalmente.
Per alcuni anni mi limitai ad usare Instagram esclusivamente per guardare i post di mia figlia.
Ultimamente, come già accaduto per altri social, anche Instagram richiese che mi iscrivessi per averne l’accesso altrimenti non avrei più visto le foto che mia figlia pubblicava. Lo feci e pubblicai anche prima una, poi altre due immagini, tanto per dimostrare che usavo questa applicazione e da quel momento mi si aprì un mondo che fino ad allora mi era stato sconosciuto.
Il mondo di Instagram con tutti i filmati (ho scoperto che si chiamano “reel”) e le foto pubblicate da ogni parte del mondo.
Vi prego, non ridete della mia ignoranza, ma la prima volta che, dopo aver pubblicato le mie foto e aver visto il post di mia figlia, mi apparvero miriadi di altri post di utenti a me sconosciuti, mi prese pure un accidente: pensavo di aver fatto qualcosa di strano e di aver combinato chissà quale casino, visto che io seguivo solo mia figlia e non avevo aperto alcun contatto con altri utenti.
Uno strano mondo questo. Sono rimasta affascinata dalle capacità manuali di artigiani, sia maschili che femminili, che presentano i propri lavori artistici, pittura, scultura, ricamo, maglia uncinetto, chiacchierino, tessitura, macramé, taglio e cucito, oreficeria, bigiotteria, intarsio, mosaico e altro ancora. Cibi da tutto il mondo e ricette in tutte le lingue, immagini di paesaggi lontani e poco conosciuti, filmati su gatti, gattini, cani e altri animali.
Quello che invece mi ha meravigliato sono le innumerevoli foto, filmati, sui bambini, esposti un po’ troppo, a mio avviso, in un mondo digitale che sembrerebbe usarli quasi come oggetti da mostrare.
E poi c’è tutto il mondo di immagini e filmati evidentemente contraffatti, alcuni quasi perfetti, molti così palesemente falsi da chiedersi come qualcuno possa confordersi o crederci.
A volte mi chiedo che cosa resterà di noi, esseri umani, dopo la nostra inevitabile estinzione. Di tutte le cose che noi facciamo, produciamo, di tutte le immagini che scorrono in questo labile e fuggevole mondo digitale, che cosa rimarrà a dimostrare che noi siamo passati su questo pianetino, soprattutto a chi interesserà tutto ciò, dopo di noi?
Sì, il Covid mi ha fatto visita. Questo è il secondo giorno in cui conviviamo.
Domenica mia figlia è tornata al paesello per votare. Aveva un po’ di raffreddore, niente di che, non abbiamo pensato alle mascherine e non mi sono lavata le mani dopo aver toccato cose che aveva toccato lei. Era dalla domenica delle Palme che non la vedevo, ho abbassato la guardia.
Lunedì mi ha avvertito di avere la febbre, di avere fatto il tampone e di essere positiva al Covid.
Io mi sono isolata subito, mio cognato ha provveduto a procurarmi i tamponi, con tutte le precauzioni del caso: io mi sono disinfettata le mani prima di consegnargli il denaro, non è entrato in casa e avevamo le mascherine.
Mercoledì mattina avevo febbre 37,5, ho fatto il tampone ed ero positiva anch’io, ho telefonato alla mia dottoressa che, viste le mie patologie, mi ha dato i consigli del caso e ci siamo anche fatte una bella chiacchierata (sa che sono sola e un po’ di compagnia non guasta).
In pratica è come se avessi una leggera influenza, il naso che cola e un po’ di tosse di gola.
Di notte il naso è chiuso e respiro con la bocca, il che è parecchio fastidioso per la gola che si secca.
Ieri sera la febbre è salita a 38, ho prese 500 mg. di Tachipirina e stamane era 37,5. Credo che salirà un po’ questa sera come ieri, ma dopo tre giorni, ovvero dopodomani, non dovrei avere più problemi.
Mia figlia mi ha comunicato che lei oggi sta bene.
Starò in quarantena una decina di giorni, ma non ho bisogno di uscire, comunque parenti e amici si sono messi a disposizione.
In conclusione, la copertura del vaccino è di circa 4 mesi, visto che sia io che mia figlia avevamo fatto la terza dose a maggio. Ma il virus sembrerebbe molto meno pericoloso, perché i sintomi sono più leggeri rispetto a una normale influenza invernale. La quarta dose la farò a febbraio.
E poiché vivo da sola, mi crogiolo tranquilla in poltrona come faceva la mia gatta.
Domenica pomeriggio, giornata splendida.
Mi sto godendo un bel film alla TV in attesa che mio fratello venga a trovarmi, come ogni domenica.
Improvvisamente un forte botto mi spaventa e tutto si spegne. Mi accorgo che la corrente c’è, ma solo per la luce. La forza motrice è andata a ramengo.
Controllo il contatore, funziona. Controllo i due quadri elettrici, uno è a posto, nell’altro il pulsante della forza motrice è saltato. Aspetto un pochino e poi cerco di rimetterlo a posto. Niente da fare. Stacco tutte le spine: frigorifero, forno, caldaia, autoclave e motorino dell’acqua (noi qui non abbiamo acquedotto, ma pozzi artesiani), macchina per il caffè, modem, PC, radiosveglia…niente da fare, il pulsante è out, off, kaputt… ho un attimo di panico, poi prendo il cellulare e chiamo un amico di casa che è anche un elettricista di professione.
Per mia fortuna è a casa e in mezz’ora è da me. Sempre per mia fortuna possiede anche il pezzo di ricambio del quadro elettrico, quadro “b ticino” che risale al 1982, quando abbiamo costruito la casa. L’ultimo pezzo di ricambio, nuovo, che lui possiede e che ben si adatta al nostro quadro.
E tutto ritorna in funzione.
Tranne la TV Philip Led ultrasottile FullHD che abbiamo acquistato nel 2017.
Ieri mattina sono andata al centro Trony del paese vicino ad acquistare un’altra TV e ho portato quella vecchia a rottamare. Lì ho scoperto che questo tipo di guasto è piuttosto comune, parlo del guasto della TV: pare che capiti abbastanza spesso che qualche scheda elettronica della TV faccia cortocircuito, certo si potrebbe riparare, ma, soprattutto per TV piccole, come la mia (24″) non ne vale la pena.
Ho già scritto un articolo, in passato, sulla “fragilità” dei nostri elettrodomestici e ho imparato a non prendermela più di tanto quando defungono e mi sento abbandonata da loro. https://undentedileone.wordpress.com/2016/08/18/elettro-domestici/ Però…
Però anche quest’anno: prima lo smartphone, era vecchio, certamente, non riceveva nemmeno più gli aggiornamenti, ma stavamo bene insieme, con lui avevo incominciato ad usare Instagram e Whatsapp, poi, improvvisamente è diventato tutto nero, la batteria si ricaricava ancora, ma, lui non era più utilizzabile.
Pochi giorni dopo, la radiosveglia, dono di nozze, che per quasi quarant’anni aveva deliziato i miei timpani al mattino, improvvisamente ha iniziato a dare i numeri, attaccava la sveglia nelle ore più impensate, poi segnava orari a suo piacimento, correndo come una matta per poi fermarsi improvvisamente lampeggiando come se ci fosse un pericolo imminente. Non è proprio defunta del tutto, ma ho dovuto metterla a riposo.
Sono tornata alla mia vecchia sveglietta tascabile che usavo da ragazza quando viaggiavo, a carica manuale, così non devo nemmeno usare pile o consumare corrente e il rito serale della carica mi fa tornare un po’ indietro negli anni.
E poi, una piccola cosa buffa che mi è capitata ieri in quel negozio: uscendo, dopo l’acquisto, ho fatto scattare il segnale d’allarme contro il taccheggio.
Mi sono fermata, più sorpresa che imbarazzata, ben sapendo che non avevo nulla con me che non fosse mio. Ho chiesto che controllassero la mia borsa, una borsa di tela, a sacchetto, regalo di mia figlia di qualche anno fa. Ovviamente non c’era nulla “da dichiarare” e rimesso tutto dentro, cerco di uscire ma l’accidente suona ancora, fra l’imbarazzo dei commessi e gli sguardi ironici degli astanti.
Lascio la borsa a un commesso e io ripasso dal controllo: tutto a posto, non suona. Il commesso fa passare la mia borsa e suona ancora. Svuotiamo di nuovo la borsa e una commessa si mette a palpare tutta la stoffa e trova, tra la fodera e la stoffa, la piccola etichetta magnetica antitaccheggio che era stata smagnetizzata all’acquisto e ora, chissà per quale mistero, si era magnettizzata di nuovo. La smagnetizza e io filo a casa senza ulteriori problemi.
Ho scucito la fodera della borsa e eliminato l’etichetta.
Controllerò anche tutte le altre borse alla ricerca di simili attrezzature che, a detta dei commessi, potrebbero anche danneggiare eventuali carte elettroniche.