Il mio paese

Del mio paese ho scritto ventidue anni fa, nel primo articolo intitolato “La memoria”:

La Memoria (1995) I

Molte cose sono cambiate in questi ventidue anni.
Le grandi fabbriche che assorbivano la mano d’opera degli abitanti del paese e intere famiglie, ormai non ci sono più. Alcune sono fallite, altre si sono trasferite altrove, lasciando sul lastrico parecchie persone. Alcuni negozi hanno chiuso i battenti. Altri esercizi nascono e muoiono nel giro di pochi mesi. Artigiani e negozianti storici cercano di sopravvivere e non si sa fino a quando.
L’industria edilizia e immobiliare è ferma: troppe abitazioni sono state costruite, molte sono vuote, parecchie nemmeno finite. Molte case sono andate all’asta per insolvenza, altre sono in vendita a causa della crisi e degli alti costi di mantenimento delle case di proprietà, delle tasse.
L’ottanta per cento degli abitanti possiede la propria abitazione ed eredita quella dei genitori alla loro morte. Un tempo, possedere una casa, ereditarne una seconda, era un bene, oggi è un capestro. Il mercato è ormai saturo, c’è troppa offerta per l’esigua domanda.

Alcune grandi aziende agricole sono con l’acqua alla gola, hanno ridotto il numero degli operai e cercano di andare avanti utilizzando le braccia appartenenti alla famiglia o con qualche bracciante saltuario.

I servizi comunali e anche gli impiegati sono diminuiti, ridotti gli orari destinati al pubblico.
Perfino la chiesa è ridotta: vent’anni fa sul nostro territorio c’erano cinque preti, due per il centro e gli altri per le frazioni, ora ce ne sono due in tutto.
La posta viene distribuita un paio di volte la settimana, sempre che non piova.

Molti giovani faticano a trovare lavoro, anche andando fuori paese.
Ci sono molti stranieri, l’accattonaggio è visibile vicino ai negozi, al cimitero, alle chiese, agli angoli delle piazze.

I furti nelle abitazioni e negli esercizi, di giorno e di notte, sono ormai una costante e non si perde nemmeno più tempo a fare le denunce, tanto non servono a niente.

Al mercato settimanale molti dei banchi sono in mano a stranieri che vendono merce scadente, di esotica fattura, spesso inutile. Non si vedono registratori di cassa su questi banchi, non vengono rilasciati scontrini e neppure copie di ricevute di bollettario.

Molte associazioni sono scomparse, soprattutto quelle culturali, considerate dai più come una cosa inutile.

Si cerca di portare avanti, anche se un po’ in sordina, quelle feste, sagre, fiere della tradizione, ma non c’è più allegria, è tutto più triste, come se gravasse sulle nostre teste una cappa di piombo.

Penso, a volte, agli anni della mia giovinezza, quando noi ci sentivamo forti, pieni di speranza, convinti di poter costruire il nostro mondo, con le nostre mani e fu davvero possibile in quegli anni che precedettero gli anni di piombo con le lotte intestine di una politica degenerata.

Dov’è naufragato, e per quale assurda causa, quel sogno di una Europa unita, aperta alle nuove idee, agli scambi culturali e commerciali, alla collaborazione fra tutti gli stati?

Credo proprio che quel periodo d’oro, della mia giovinezza, forse non tornerà più, non per me certamente, ma per i nostri giovani.

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Chiostro domenicano
foto “Gruppo Acquarelliste”

 

19 pensieri su “Il mio paese

  1. purtoppo la tua considerazione rispecchia esattamente la triste realtà economica e sociale in cui pare stiamo stagnando. Con la mancante capacità ( ormai da anni …) di risollevare le sorti non ne vedo un recupero cui io possa assistere e nel mio pseudopessimismo nemmeno per le generazioni nuove. Auguro certamente a quelle che verranno di trovare condizioni migliori di quelle che stiamo lasciando…ma ormai sperare pare davvero solo un onirico verbo con cui si addolcisce ogni cosa… Un bacione Neda

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  2. Tristezza, nostalgia … malinconia,
    per quell’ antico mondo andato via !
    Malinconia, nostalgia …. tristezza,
    dove finì la nostra giovinezza ??? 😐

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    • La nostra giovinezza è ormai finita,
      mio caro Cavaliere e in un baleno.
      Passato è il tempo della bella vita
      solo i ricordi restano, almeno,
      a rimembrar gli antichi fasti,
      gli ardori, i balli, i grandi amori.
      Ora non resta che subire i guasti
      che una politica infame ci procura.
      Non abbiam voce e non abbiamo forza,
      nessuno ascolta ciò che ancor diciamo,
      non siamo popolo, siam solo polli
      a cui toglier le penne ad una ad una
      per dar becchime a chi là siede
      a detener potere senza affanno,
      a blaterare senza alcun costrutto
      pur di restare sempre sullo scranno.

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  3. No … polli no ! Io almeno, pollo mai !!! Sì la stagione dei mille splendidi soli se ne andata via, tantissimi miei amatissimi compagni di viaggio se ne sono scomparsi già ( alcuni … pur giovani, caddero ), ma i miei sogni sono ancora integri e dolci, audaci e invitti … quanto all’ amore, beh non ha mai abbandonato il mio cuore !!! 😀

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    • Ti sbagli, o Cavaliere. Polli siamo:
      ci spennano e poi ci tireranno il collo.
      Ricordi? Dieci anni durò la guerra
      nel medio oriente, soltanto
      da un par de corna provocata.
      Ora in lontano oriente, un deficiente
      sta cincischiando un cretino capelluto.
      E noi? Siam polli al macello, senza fallo,
      rivoluzioni e ribellioni non sappiamo
      più provocare, noi subendo taciamo,
      il capo chino, sperando in una grazia
      che più non c’è. Sì, polli siamo.
      Di sogni pur nutriti, perché no?
      Ma i sogni sol non servono a salvarci
      dagli incubi che sono all’orizzonte.
      Questa è un’altr’era, un altro mondo,
      che non è nuovo, ma si ripete ancora,
      come la Storia insegna dal passato
      e imparato dovremmo avere, invece
      gli stessi falli noi facciamo ognora..

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