Cosa racconterò

È stato inevitabile, in questi giorni in cui alcuni nubifragi hanno messo a dura prova anche noi, qui, al paesello, pensare ai cambiamenti del clima e ritornare indietro con la memoria a quando ero più giovane.

Una foto del Cervino, vista sul blog di Claudio
https://clamarcap.com/

confrontata con un’altra foto di cinquant’anni prima in cui il Cervino era splendente di ghiacci e neve mentre ora, in quello stesso periodo dell’anno, è solo una grande piramide grigia e spoglia, mi ha fatto ricordare di che cosa discutevamo noi giovani, allora, inascoltati dagli adulti che consideravano i nostri discorsi “una nuova moda”, anche se di cambiamenti climatici se ne parlava già dalla metà dell’ottocento.
Poi diventammo adulti anche noi e smettemmo di discutere, perché quando si diventa adulti c’è altro a cui pensare e i sogni e le utopie tornano nei cassetti che restano ben chiusi e si dimenticano gli slanci della gioventù: c’è da pensare al pane per la famiglia e non sempre si ha la possibilità, e il tempo, di scremare, di andare per il sottile.

Questa l’ho scritta esattamente cinquant’anni fa.

Cosa racconterò, fra quarant’anni,
ai figli di mia figlia?
Cosa racconterò?
Racconterò dei pettirossi,
nel giardino davanti a casa mia,
delle rose, dei passeri e del gatto
che, alla sera, mi faceva compagnia.
Come racconterò di grilli e di cicale
a loro, che le vedranno nei musei?
Racconterò di tanti secoli fa,
quando il sole non era ancora scuro
ed io portavo l’acqua del ruscello
alle rose bianche, arrampicate al muro.
Diranno: “È vero?
Nonna, dì, o è una fiaba?”
È una favola, sì, favola vera,
di un mondo tanto grande, tanto eterno, 
con piante che morivano in autunno
per rifiorire più belle a primavera.
C’erano uccelli, pesci, fiori colorati,
profumi, odori, palpiti di vita.
Quanto è bastato, quanto c’è voluto,
perché ci fosse un mondo di cose asessuate?
Un mondo enorme, a palla di biliardo,
dove impera la vita minerale,
un mondo condannato, già distrutto,
da una vorace guerra industriale.
In quanti modi ci stiamo distruggendo
noi, della generazione del progresso?

Io non avrò mai figli, mai nipoti,
cui raccontare la mia fiaba vera
quando, nel giardino davanti a casa mia,
fiorivano le rose a primavera.

Io non avrò mai figli, mai nipoti,
che chiedano il mistero della vita, a noi,
che stiamo distruggendo il mondo,
senza pensare al poi.

https://undentedileone.files.wordpress.com/2020/09/beccofrusone.jpg

beccofrusone
tecnica mista
mie opere

16 pensieri su “Cosa racconterò

  1. Come sempre, post ineccepibile.
    Le mie esperienze di vita ricalcano con la carta carbone le tue, unica differenza una poesia così non l’ho mai scritta, in compenso ricordo benissimo il libro che mi arrivò tra le mani, sempre allora, di cui ti basti il titolo significativo: «Terra, Pianeta che sanguina».

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    • Io avevo letto quello di Osborn “Il pianeta saccheggiato” e poi “La società opulenta” di Marcuse e “La nascita dell’ecologia” di Malthus e poi c’erano i libri sull’etologia di Lorenz…mi sa che tu ed io si sia della stessa generazione, o no?

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      • Tu hai letto sulla materia parecchio più di me, ero parecchio preso come tu stessa scrivi, a mettere insieme bread and butter.
        Sull’età… stendiamo un pietoso velo (non ancora, facciamo gli scongiuri, funerario) 🙂

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  2. In questo sconvolgente panorama,
    di ghiacciai sciolti o che si scioglieranno,
    Tu sopperisci, Neda, al grave danno
    della Terra, dall’ Alpi all’ Alabama !
    Disegni, oppur dipingi, a casa tua
    qualsivoglia uccelletto ch’ hai veduto,
    il picchio, il falco o il cacatua
    sì come li vedesti nel vissuto !
    E con che abilità li rendi “veri”,
    pronti a volar nel ciel, felici al vento,
    come vorrei così i miei pensieri ….
    e di volar con lor sarei contento !
    Poichè la vita …. quando la si apprezza,
    bisogna poi rifarla, affinchè tutti
    la vivan, come te, senza tristezza,
    e come te … lasciar da parte i lutti !
    Ti chiedo scusa, infin, mia cara amica,
    se talvolta non riesco a uscir dai flutti :
    Tu m’ hai insegnato tanto, e con fatica
    è l’ ora che i dolori io li butti !
    😀

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    • Il dolore non passa, credi a me,
      resta in eterno dentro nelle ossa,
      in fondo al cuore, fisso nella mente.
      Lo si fa nostro, ci rimane accanto,
      ci si convive e lo si tiene caro:
      fin che il dolor si sente, noi si è vivi
      e i nostri morti vivono con noi.

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  3. la tua poesia era alquanto profetica..il mondo è cambiato in peggio.. La speranza è che nuove coscienze e nuove conoscenze, aprano le menti e si cominci a rispettare più l’ambiante..la scuola potrebbe far tanto a tal proposito. Buona serata a te mia cara Neda (ps bellissimo il dipinto)

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  4. Pingback: Cosa racconterò — Un Dente di Leone – Evaporata

  5. Quand, più di mezzo secolo fa, io parlavo di queste cose, mi prendevano in giro, trattandomi da visionaria e con la testa nelle nuvole… Adesso non lo fanno più, ma è già un po’ tardi… e le cattive abitudini son dure a morire. Ma la speranza non muore mai. Grazie,Neda!!!!

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    • Mezzo secolo fa ne parlavamo tutti, noi giovani, era pure di moda farlo. Poi abbiamo smesso di predicare e abbiamo razzolato male, o permesso che si razzolasse male, in nome di quelle comodità che il progresso ci portava e alle quali è difficile rinunciare. Comunque, anche cinquant’anni fa eravamo già in ritardo.

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