Giovinezza

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disegno a matita
mie opere

 

Era il 1964. Avevo appena compiuto sedici anni quando mi diplomai e uscii, finalmente, dall’Istituto dove avevo trascorso gran parte della mia infanzia e quasi tutta la mia adolescenza.

La scuola mi aveva preparato ad essere una buona segretaria d’azienda.
Sapevo scrivere a macchina in modo perfetto e veloce, conoscevo la stenografia, il mio francese era impeccabile, avevo studiato diritto commerciale e bancario, computisteria, merceologia, fisica, chimica, letteratura del vecchio e nuovo mondo, insomma, tutto ciò che all’epoca si studiava alla scuola commerciale.
Inoltre, avevo potuto frequentare i corsi di musica, pittura, teatro e canto.
Il cucito, il ricamo, l’economia domestica completavano l’educazione che ci veniva impartita.

L’impatto con il mondo “fuori da quelle mura” non fu facile. Nessuno ci aveva preparato al mondo esterno. Avevamo letto molto, quasi tutta la letteratura italiana, europea e americana dell’ottocento, naturalmente solo quella adatta all’educazione, decisamente cattolica, di “giovinette”, come si diceva allora.

Sapevamo tutto, l’avevamo studiato in scienze, come si facevano i figli, come si sviluppava un feto, come nasceva un bambino.
Ma nessuno ci aveva istruito su che cosa fosse l’amore, quali fossero le pulsioni dei desideri e dei sentimenti. Inoltre, gli anni passati nell’Istituto, la mancanza di contatto con il mondo esterno, la mancanza degli affetti familiari, il desiderio di essere accettate, amate, benvolute, ci aveva reso simili a dei cagnolini randagi desiderosi di una carezza.
La nostra fragilità, la nostra ingenuità erano talmente evidenti da essere quasi ridicole.

Il mio spirito ribelle e solitario aveva maturato, in quegli anni, un odio profondo per quel mondo chiuso, che sentivo retrogrado e coercitivo, perciò avevo forzato le tappe della mia educazione e fatto sempre gli esami da privatista, per arrivare a quel diploma che mi avrebbe permesso di uscire da lì.
Non avevo tenuto conto di un fatto: la mia bassa statura, anche se ben proporzionata, le mie mani e i piedi molto piccoli, il mio aspetto infantile, mi facevano sembrare molto più giovane di quanto non fossi. Sembravo una ragazzina appena uscita dalle elementari.
Da un canto questo mio aspetto mi salvò dall’interesse dei miei coetanei maschi, che proprio non mi notavano, permettendomi di maturare senza inopportuni patemi amorosi, d’altra parte, però,
mi impedì di trovare lavoro subito, obbligandomi a continuare gli studi.
Scelsi di studiare lingue straniere.
Furono gli anni che precedettero il 68. Gli anni dei Beatles, della minigonna, dei fermenti rivoluzionari, dell’emancipazione femminile.
Gli anni delle interminabili discussioni sul treno che ci portava in città, a scuola, dei libri che ci passavamo di nascosto, perché ancora all’indice, alcuni in lingua originale, non ancora tradotti in Italia, dei giornali stranieri e delle dispense in ciclostile, passate di mano in mano, copiate.
Gli anni dei panini portati da casa, mangiati passeggiando, della pizza e birra, quando si aveva un soldino in più, dello scappare via da scuola un’ora prima per correre a vedere una mostra di fotografie, di pittura.
Gli anni che in primavera si saltava un giorno di scuola per ritrovarci su in castello a guardare la città dall’alto, leccando il primo gelato della stagione.

Io portavo i calzettoni e le scarpe basse, sembravo una delle medie.
Quando c’erano gli scioperi e la città era in subbuglio, mollavo i libri a scuola e passavo tranquilla dai picchetti, non mi fermava nessuno.
Non mi piaceva essere obbligata ad andare in piazza, in mezzo a tutti, rischiando qualche sassata, se non peggio.
Io volevo solo studiare, crescere, avere un ulteriore diploma che mi permettesse di andare, finalmente, a lavorare per rendermi indipendente. Solo quello.

23 pensieri su “Giovinezza

  1. Io mi ci perdo piacevolmente nei racconti del passato… quando la scuola e il mondo erano tutt’altro rispetto ad ora… :)) ti dico che agli scioperi ho partecipato poche volte, e mai convinta dalle reali motivazioni, il più delle volte si finiva a passeggiare o a pranzare fuori o addirittura al parco a giocare 😀

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    • No. Nessuna nostalgia. Ad essere sincera preferisco la mia vecchiaia alla giovinezza. Sono più consapevole, più esperta, più istruita e anche meno ingenua. Vivo meglio, ora, nonostante il mondo non sia migliorato.

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  2. Sono poco più giovane di te, e condivido i ricordi di un tempo in cui si usciva nel mondo senza saperne niente. Ero invece abbastanza attiva nelle dimostrazioni per l’emancipazione femminile, e sono contenta di averle fatte e di continuare a lavorarci (lavoro lunghissimo e difficilissimo). Infine, ricordo quella voglia di autonomia a qualunque costo e qualunque sacrificio, che mi rende insopportabili quei giovani che si lamentano del “mondo che gli abbiamo lasciato”, pensano che una volta fosse una passeggiata, e aspettano che qualcun altro risolva i problemi

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    • All’epoca, per mantenermi agli studi, nell’unico pomeriggio libero dalla scuola lavoravo nello studio di un commercialista e i tre mesi estivi delle vacanze li passavo in un maglificio: 10 ore al giorno alla macchina da maglieria, sabato compreso e mi sembrava di essere una privilegiata: non pesavo sulla famiglia e potevo continuare a studiare.
      Per quanto riguarda gli scioperi precedenti al 68, ero troppo poco informata per capirli, non ero preparata a quelle violenze e avevo molta paura.
      Nel 68 lavoravo già, ero emancipata, nonostante non fossi ancora maggiorenne ed ero pienamente consapevole della mia libertà e della mia identità, come donna e come lavoratrice.

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      • C’è uno spaccamento culturale nel giro di pochi anni. Nel ’68 io avevo 14 anni, abbastanza grande da avere delle idee, troppo piccola per non capire dove stavano le criticità. Ovviamente le manifestazioni e il lavoro sono stati negli anni successivi. Io sono davvero molto felice di esserci stata, allora. Anni meravigliosi, pieni di speranza, di ottimismo, di volontà

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      • Sì hai ragione. Già nel luglio del 67 facevo praticantato in un grande albergo del Garda. Poi ci fu l’inverno e fu l’ultimo periodo spensierato per me. A febbraio del 68 lavoravo già in Liguria: tutti i giorni per otto mesi, senza mai un giorno di riposo. Quello che stava accadendo quasi non mi toccava, salvo che incidesse sul lavoro, ma nel mondo del turismo gli scioperi erano molto lontani. Solo nel 71, con il crollo del franco francese e i problemi economici inglesi noi ci rendemmo conto di quello che stava succedendo. Quindi iniziarono gli anni di piombo, ma io ero già fuori da ogni contesto. Del resto, nella mia famiglia, mia madre era una donna emancipata da tempo, mi aveva abituato alla libertà di pensiero e di azione.
        Ricordo una cosa che mi fa ancora sorridere. All’epoca andavo spesso al ristorante da sola e rischiavo di non essere servita perché non ero “accompagnata”.
        Nel mio paesello ero anche considerata una ragazza strana perché viaggiavo da sola, andavo all’estero e facevo un mestiere non usuale dalle mie parti, strano secondo i più, quando non sospettavano altro e ti lascio immaginare cosa. Poi, in più, non mi sposavo e “non restavo incinta”. Se ci penso oggi, mi viene da ridere: lavoravo sedici, diciassette ore al giorno per otto mesi, non è che avessi molto tempo per il resto, ma se lo avessi detto non ci avrebbe creduto nessuno.
        Per fortuna i miei familiari mi hanno sempre sostenuto.
        Mi sposai a 35 anni, dopo aver lasciato quel lavoro che non avevo più intenzione di continuare e decisi di diventare una casalinga, cosa della quale non mi sono mai pentita.

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      • La famiglia fa la differenza. Io ho avuto u padre possessivo e dispotico che non mi ha lasciato spazio per crescere nè per rendermi indipendente. Il classico uomo convinto dell’inferiorità femminile. Ho fatto fatica a crescere. Mi sono sposata molto giovane e sono stata fortunata a trovare una persona con la quale sono cresciuta e con la quale sto ancora bene, ma sono consapevole di non avere scelto. Ho fatto le mie battaglie per le altre donne, per me stessa ho dovuto lavorare diversamente. Fare serenamente la casalinga, lavoro che conosco bene, è una scelta coraggiosa. Proprio ieri ho visto su RaiStoria un servizio in b/n, per dire l’epoca, in cui si parlava del lavoro delle casalinghe: non è cambiato niente!

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      • Sì, ricordo molto bene alcune mie coetanee che sono passate dalla tutela del padre a quella del marito, senza mai aver avuto un attimo di libertà, di autodecisione.
        La mia vita di casalinga mi permette di dedicare molto del mio tempo alle mie passioni, godo ancora oggi di una libertà che altre donne della mia età non hanno mai avuto. Sono stata fortunata: mia nonna paterna e mia madre erano donne molto indipendenti, libere, forti e alla pari con i maschi della loro epoca. A me, dopo gli anni di reclusione nell’Istituto, è stata data la stessa libertà che avevano i ragazzi miei coetanei, anche se i miei familiari, all’epoca, sono stati abbastanza criticati per questo fatto, ma io ne ho avuto grandi vantaggi e il cambiamento avvenuto dopo il 68 ha dato ragione alla mia famiglia e a me. Ho potuto scegliere, costruire ciò che volevo, compatibilmente con le mie possibilità e le mie capacità.

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      • Anche nell’esperienza delle mie amicizie, la figura materna è stata determinante nel formare i figli, maschi e femmine. Io non posso dire di essere passata da una tutela all’altra, perchè mio marito era anche lui figlio di quei tempi, quando la coppia si impostava da subito con ruoli paritari, ma da sola mai. E ovviamente le scelte sono sempre state subordinate a ragioni di coppia

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      • Una volta sposate, per quanta libertà si abbia, è inevitabile condizionare le proprie scelte a seconda delle necessità familiari: il marito, i figli, la casa e il lavoro fuori casa, non è per nulla facile. Per questo sono ancora molto felice di aver potuto trascorrere una parte della mia vita da sola. E’ stato il periodo in cui sono maturata e cresciuta, mi sono tolta di dosso l’odio e la ribellione che avevo maturato nell’Istituto. Ho aspettato a sposarmi e a scegliere l’uomo con il quale sto condividendo la vita, solo dopo essere stata sicura di potermi “donare”, di poter accettare gli inevitabili sacrifici che la vita familiare comporta, di essere abbastanza matura per poter crescere dei figli.

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      • Non faccio fatica a condividere quello che dici. Per quanto mi riguarda, ci hanno pensato le casualità della vita a darmi una spinta. Mio marito ha avuto una proposta di lavoro interessante in un’altra città, e siamo andati tutti (lasciamo stare se sarebbe stato possibile il contrario). Ben contenta, ma mi sono trovata senza un lavoro, da sola, con due bambini piccoli. Ho fatto una fatica enorme, ma ce l’ho fatta, e questo mi ha dato una bella spinta verso una sicurezza che, poi, mi ha aperto altre porte. Ma sola per scelta, mai.

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      • Sei una donna forte, ti sei realizzata, è un bel traguardo dopo tanta fatica.
        Ed è bello condividere queste esperienze che ci hanno fatto crescere.
        Ti abbraccio forte e ti auguro ogni bene, per te e per la tua famiglia.

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  3. Forse avete già detto tutto tu e Paola.
    Io sono un pochino più giovane e forse pochi anni possono cambiare la prospettiva. Anche io ho lavorato in estate dai 14 anni in poi, ma ricordiamoci che oggi non sarebbe nemeno legale. Mi sono sposata giovane, ma a 22 anni io avevo il mio lavoro a tempo indeterminato e mio marito ha ha iniziato ad esercitare la sua professione appena laureato. Per i miei figli non è stato così automatico. Si lamenteranno pure per il mondo che abbiamo lasciato, ma, sinceramente, non mi sento di dar loro torto.
    Io ho lavorato in azienda da ragazzetta, ho fatto per anni lavori ad uncinetto a tempo perso per un maglificio, frangie per sciarpe, ho montato occhi a elefantini di plastica e assemblato fiori finti, ricamato maglioni e intrecciato paglie, ma se anche i miei figli avessero voluto, tutte queste occupazioni non esistono più. Nemmeno la raccolta delle pere di fronte a casa, che qui ci pensano le squadre di polacchi.
    Io non ero emancipata, direi che sono stata fortunata, molto più dei miei figli e dei loro coetanei.

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    • Hai ragione, i nostri ragazzi oggi sono obbligati a studiare, fino ad una certa età, anche se non ne hanno voglia o capacità.
      Per quelli che si laureano, che raggiungono anche un master, come la mia, dopo che loro stessi e la loro famiglia hanno fatto sacrifici e tanti, fanno fatica a trovare un lavoro. Ai miei tempi c’era la possibilità di fare praticantato presso gli artigiani che ti insegnavano un mestiere fin da ragazzino, ne apprendevi i trucchi, imparavi a gestire i pochi guadagni, risparmiavi. Si è perduto tutto ciò. Ci sono gli stage, certo, organizzati dalle scuole con alcune aziende, spesso sono solo una perdita di tempo, fatte per “facciata”, costano alle famiglie e non danno alcun risultato.

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