Dalle lettere al Direttore del Giornale di Brescia del 4 ottobre 2016.
Scrive la Signora Elena Alberti Nulli di Monticelli Brusati (classe 1926)

fotografia della Signora Elena presa dal sito
http://www.castelveder.it
Ho fatto la maestra negli anni ’50 del secolo scorso. Prima nomina a San Colombano sotto il Maniva. Partivo da Brescia il lunedì all’alba e tornavo il sabato. Dormivo a Collio, quattro chilometri nella neve per raggiungere la scuola dove i ragazzini arrivavano con gli sci che non erano sci ma doghe di botte legate agli zoccoli con lo spago.
Poi in Franciacorta, a Fantecolo, quattro classi una maestra: io.
I più svegli della prima imparavano la storia del Risorgimento e quelli di quarta imparavano finalmente che cuore si scrive con la c.
Poi Monticelli, con classi di 45 bambini che venivano a scuola dopo il pascolo con la mucca, con la colazione di pane e vino e spesso dormivano quieti con la testa sul banco.
E qui, in Franciacorta, tutti i bambini pensavano e parlavano in dialetto e, avendo io vissuto la stessa esperienza bevendo il dialetto nel latte di mia madre, cercai di non mortificare emozioni e pensieri ascoltandoli in dialetto per passare poi alla bella forma gentile della lingua italiana.
E così vennero fuori:
-La mia maestra viene a scuola che è tutta gelatina (infreddolita)…ha un bel cappellino a forma di tortaruollo (da tortaroel=imbuto)…ha il grembiule nero e il culetto (colletto) bianco…..-
e via discorrendo.
-Maestra, maestra, guarda linno una gatolla, se ti piva Divo sanno-
(Maestra, maestra, garda lì un bruco, se ti morsica lo sa Iddio…)
Ma mi portavano mazzetti di primule e di viole, le prime ciliegie e le castagne già cotte.
A Brescia, alla scuola Filippo Corridoni, andò meglio per via dell’italiano, ma quando un giorno venne un Vescovo vestito di rosso come un Re di Francia, io ebbi l’impudenza di chiedere al più bravo della classe: “Ti piacerebbe diventare Vescovo?”- Rispose: “Penso proprio di no. Mi stancherei a non fare niente tutto il giorno.” C’era da sprofondare, ma anche da sorridere.
Il prete, il dottore e la maestra erano le autorità del paese, davanti a loro gli uomini si toglievano il cappello.
Io non facevo note di rimprovero da portare a casa perché sarebbero piovuti castighi e sberle.
Ho amato molto i miei scolari e ancora adesso, che sono vecchi anche loro, mi portano primule e viole, le prime ciliegie e le castagne già cotte.
Bellissimo e commovente.
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Grazie. Buona serata.
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Grazie a te. Quando io ho cominciato le elementari molte di queste cose erano normalissime. I bimbi (sfollati dal Polesine) che dopo tanta strada si addormentavano al caldo della Becchi.
Le primule e le viole, il dialetto, lo stupidario di noi bambini. Ricordi che stringono il cuore. Non perchè li ricordi con sofferenza, ma solo perchè ricordo.
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Sì, anch’io ricordo la mia prima elementare: 4 km. a piedi al mattino e altrettanti alla sera, la stufetta a legna in classe e quando ero in quinta elementare eravamo in 52 in classe, con una sola maestra.
Ciao, buona notte, fa bei sogni.
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Bellissima! altri tempi anche per le maestre
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Delizioso questo articolo! Altri tempi!
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Grazie Laura, proprio altri tempi, i miei tempi. Pensa che quando ero in quinta elementare nella mia classe eravamo in 52 con una sola maestra!
Ciao, buona notte, fa bei sogni.
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Mamma mia! Al giorno d’oggi non sarebbe possibile, la maestra la manderebbero al manicomio!
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“… bevendo il dialetto nel latte di mia madre… ” Splendida, l’ho letta tutta d’un fiato, col cuore sognante e gli occhi lucidi. Mi manca il passato, anche se non è stato facile arrivare sin qui. Buona giornata neda ❤
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Credo che quelli di noi che hanno passato l’infanzia lontano dagli affetti familiari, siano sempre alla ricerca di una parte del passato, per colmare i vuoti, per trovare comunque delle radici a cui aggrapparsi, da riconoscere come proprie. E’ un percorso che non si chiude mai, che arricchisce pur tenendo conto delle difficoltà e delle sensibilità maggiori, rispetto ad altre persone, perché, volenti o nolenti, siamo sempre alla ricerca di quel qualcosa che definisca chi siamo veramente, di quel qualcosa di cui siamo state private senza nostra colpa.
Ti abbraccio.
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Hai ragione Neda, sono sempre alla ricerca di qualcosa che riempia il vuoto ed accarezzare i ricordi e ritrovare nei piatti i sapori ovattati del tempo perduto, mi nutre l’anima. Ho letto, anche se non ho commentato, la tua storia… ❤
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A me la scuola, a cominciare dalla terza elementare, ha riservato solo amarezze, e mi fermo qui perché altrimenti dovrei dilungarmi a dismisura. Penso di farne un post.
Un affettuoso saluto
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Salve Guido. Leggerò con vero piacere il tuo post sulla scuola.
Ricambio con affetto il tuo saluto.
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Lo scriverò appena mi salterà addosso la voglia di pensare e ricordare
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A volte scrivere è liberatorio.
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Non di “maestra d’ altri tempi” trattasi, ma di MAESTRA PER OGNI TEMPO ! Ed il mio amico @Guido, che qui esprime una malinconica memoria, quando poi divenne egli stesso un Insegnante, si comportò coi suoi amatissimi allievi da VERO MAESTRO …. sempre seguendoli anche quando, per raggiunti limiti di età, usci dalla Scuola Pubblica per ritirarsi nel paese natìo !
Cara, piccola @Nedina : di questi Maestri e di queste Maestre avremo sempre bisogno ….. e qualcosa da imparare ! 🙂
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